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Ogni piccolo passo, ogni successo raggiunto ci porta a guardare il futuro con speranza. Tuttavia, come spesso ci ripetiamo, la strada è ancora lunga!
Molti obiettivi ci accomunano, però ognuno di noi è unico: abbiamo necessità e sogni diversi.

Dato che ogni voce è importante, ORA VORREMMO ASCOLTARE LA TUA!

Con l’obiettivo di essere sempre più efficaci nel supporto a chi soffre di una immunodeficienza primitiva e ai suoi cari e famigliari, proponiamo un breve sondaggio anonimo con il quale desideriamo raccogliere le tue esperienze, le tue emozioni e le difficoltà che affronti durante il percorso di cura. Il sondaggio è personalizzato in base al ruolo che meglio ti identifica (paziente o caregiver/famigliare).

Partecipando, aiuterai AIP a essere sempre più vicina a chi ne ha bisogno: le risposte ricevute diventeranno la base per progettare nuove iniziative e attività che rispondano concretamente ai bisogni delle persone con IDP e delle loro famiglie.
Inoltre, analizzeremo i dati raccolti in maniera aggregata, per poter diventare ancora una volta megafono delle necessità più sentite e presenti sul territorio.

La tua voce conta!

Contribuisci a costruire un futuro migliore per la nostra comunità.

OGNI VOCE CONTA!

Le vostre risposte al sondaggio

Tra novembre 2024 e gennaio 2025 abbiamo raccolto 150 risposte a un sondaggio che, sin da subito, si è rivelato un punto di incontro tra esperienze personali e riflessioni quotidiane, un vero e proprio racconto corale, fatto di emozioni, pensieri e vissuti condivisi. Il 71% dei partecipanti ha risposto in qualità di paziente con un’immunodeficienza primitiva (IDP), mentre il 29% ha condiviso il proprio punto di vista come familiare o caregiver. Il 60% dei rispondenti ha tra i 40 e i 60 anni, il 17% è più giovane e il restante ha superato i 60: un insieme eterogeneo che ha permesso di raccogliere voci diverse, unite dalla volontà di raccontare e di essere ascoltate.

Il condizionamento sulla vita quotidiana è stato raccontato in modi diversi. Il 35% ha dichiarato di dover valutare pro e contro di ogni attività, il 33% ha imparato a gestire situazioni nuove e solo il 9% ha affermato che la malattia non influenza il proprio quotidiano. Anche sulla qualità della vita, il 55% ha detto che la patologia ha cambiato molto il modo di viverla, mentre solo il 10% sente di non dover rinunciare a nulla, pur con qualche precauzione.

Le emozioni provate al momento della diagnosi parlano con forza: paura, preoccupazione, ansia, confusione e sconforto emergono con intensità — la paura, in particolare, è stata indicata dal 30% delle persone — ma accanto a queste si fanno spazio anche sollievo, accettazione, speranza e fiducia. Una diagnosi che segna, spaventa, ma può anche rappresentare un punto di partenza per ritrovare un nuovo equilibrio.

Guardando alle difficoltà nella gestione della terapia, molte persone hanno raccontato quanto sia difficile convivere con la cronicità. Per qualcuno è l’isolamento che pesa di più (27%), per altri la fatica di mantenere la costanza nei trattamenti (20%). Il 17% ha evidenziato la difficoltà nella gestione degli effetti collaterali e il 12% ha parlato di centri di cura lontani o poco preparati. Non meno centrale è il rapporto con il medico: per il 69% si tratta di una relazione basata su fiducia, gratitudine e stima; il 22% lo percepisce come frettoloso, o un legame instabile che fatica a reggere il peso della complessità (9%).

Davanti alla domanda su cosa potrebbe davvero far star meglio, le risposte si muovono su più livelli: dal desiderio di terapie meno invasive (23%) al bisogno di un supporto psicologico stabile (23%), dal riconoscimento istituzionale (14%) a una maggiore empatia da parte delle persone che si incontrano lungo il percorso (14%). Spesso, anche solo sentirsi visti fa la differenza.

Accanto alle esperienze dei pazienti, ci sono le voci dei caregiver, che ogni giorno affrontano sfide silenziose ma profonde. il 28% di loro ha manifestato un senso di impotenza difficile da spiegare, come se a volte mancassero gli strumenti, le risposte, le coordinate per orientarsi. Non sapere cos’è una IDP, come si manifesta, come gestirla: per alcuni, è proprio questa mancanza di conoscenza a generare smarrimento (18%). Altri ancora hanno espresso il peso dell’assenza di un supporto da parte delle istituzioni (16%), o la frustrazione per il mancato riconoscimento di diritti che sarebbero fondamentali per affrontare con più serenità il percorso di cura (13%).

Il loro ruolo nel dialogo con il medico è spesso vissuto con equilibrio: la grande maggioranza si sente coinvolta nella giusta misura (87%), parte attiva di una relazione che, quando funziona, riesce a dare un po’ di respiro.

E non mancano le idee su cosa potrebbe rendere tutto un po’ più semplice, un po’ più umano. Meno burocrazia (25%), prima di tutto. Più informazione (23%), soprattutto per i medici di base e i pediatri, che spesso sono i primi interlocutori. E poi, un sostegno psicologico (14%) che non riguardi solo chi è malato, ma anche chi si prende cura — ogni giorno, spesso in silenzio — di chi è malato.

Infine, ci siamo chiesti cosa potremmo fare noi, come Associazione. Le risposte si sono intrecciate tra desideri molto concreti e aspettative affettive. Il 21% ha espresso il bisogno di una presenza più costante, più vicina, soprattutto nei momenti più complessi del percorso. Il 16% ha indicato l’importanza di rafforzare le attività di formazione e sensibilizzazione, per costruire una cultura diffusa intorno alle IDP. E un altro 14% ha sottolineato quanto sia urgente lavorare sul consolidamento della rete dei Centri di cura, per garantire equità e accesso.

Accanto a questi spunti, sono arrivati anche suggerimenti preziosi da chi vive il ruolo di caregiver o familiare: il 25% vorrebbe che l’associazione fosse un punto di riferimento anche per le famiglie, un luogo di ascolto e orientamento; il 23% ha chiesto di favorire il contatto diretto tra pazienti, per non sentirsi soli; il 14% ha ribadito il valore delle attività divulgative, perché più consapevolezza significa anche meno paura. C’è, in tutte queste voci, una richiesta forte e gentile allo stesso tempo: esserci davvero, in modo semplice ma concreto.

Ogni risposta raccolta ha composto un quadro fatto di fragilità e forza, di difficoltà e risorse, di desideri semplici e bisogni profondi. Un quadro che non solo ascoltiamo, ma che ci impegniamo a portare avanti, giorno dopo giorno.

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